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18 luglio 1996 n° 953

Il terzo mondo è qui da noi: il Sud fa peggio della Grecia

 

Pubblichiamo una sintesi del rapporto Svimez sulla drammatica situazione del Mezzogiorno d'Italia tratto dai quotidiani Il Fatto Quotidiano e La Repubblica. 

 

Il terzo mondo è qui da noi: il Sud fa peggio della Grecia

 

Il rapporto SVIMEZ: verso un “sottosviluppo permanente”. Record di disoccupati, industria al collasso. Le nascite mai così male da 150 anni

 

Il Sud non è un Paese per giovani, non lo è per le donne, né per il lavoro, l’industria, lo sviluppo o qualsiasi cosa assomigli a una crescita. Da che si ricordi, il rapporto SVIMEZ sul Mezzogiorno non ha mai contenuto messaggi

di speranza. Ma Stavolta i toni sono apocalittici, e i numeri di più. Il Meridione è “la Grecia d’Italia”, peggio: “Dal 2000 al 2013 è cresciuto la metà del Paese ellenico”. E si avvia verso “un sottosviluppo permanente” e uno “tsunami demografico”.

Il rapporto 2015 del centro studi per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno ha i connotati di un Mayday prima del naufragio che rischia di trascinare a picco il Paese. Se dal 2000 la Grecia è cresciuta del 24%, il Sud si è fermato al 13, contro il 53,6% della media dell’Ue a 28 (ed è cresciuto meno di tutta l’eurozona).

Peggio va sul lavoro: Nel 2014 gli occupati sono scesi a 5,8 milioni, “il livello più basso almeno dal 1977, anno di inizio delle serie storiche Istat”. È la prima volta che si scende sotto la soglia limite dei sei milioni.

La disoccupazione è al 20,4%.

 

POVERTÀ. In termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno nel 2014 è sceso al 53,7% del valore nazionale, un risultato “mai registrato dal 2000 in poi”. Il 62% guadagna meno di 12 mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord.

Per intenderci, il divario tra la Regione più ricca, il Trentino Alto-Adige (37mila euro), e la più povera, la Calabria (16mila) è di quasi 22 mila euro, quattromila in più dell’anno prima. L’effetto si vede sul rischio povertà, che coinvolge una persona su tre al Sud e solo una su dieci al Nord.

 

PAGANO DONNE E GIOVANI. Qui si registra una “frattura senza paragoni in Europa”. Al Sud lavora solo una donna su cinque. Va peggio se si osserva le fasce giovani: nel Centro Nord quelle occupate sono il 42,3%, il Sud si ferma al 20,8.

Nel 2008-2014 ha perso 622 mila posti di lavoro tra gli under 34 e ne ha guadagnati 239mila negli over 55, con un tasso di disoccupazione under 24 che raggiunge il 56%.

Questa situazione “alimenta una spirale di impoverimento del capitale umano”. Lo si vede dai Neet, i giovani che non lavorano né studiano: sono due milioni.

 

ZERO INDUSTRIA. Dal 2008 al 2014 è scesa di un terzo, gli investimenti del 59,3%, le prime vittime del crollo della spesa pubblica che per decenni ha contenuto i danni: -10 miliardi nel 2001-2013, -6,2 per “i trasferimenti alle imprese”.

Il Sud riceve ancora molto, ma non basta.

 

NASCITE, COME NEL 1871. “Nel 2014 si sono registrate solo 174mila nascite, livello al minimo storico registrato oltre 150 anni fa”. Il Meridione si avvia verso uno “tsunami demografico dalle conseguenze imprevedibili”: perderà 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni.

 

Dal 2000, il Mezzogiorno d'Italia è cresciuto la metà della Grecia

 

Il rapporto SVIMEZ, dati sul Sud italiano preoccupanti: "Rischio di sottosviluppo permanente". Uno su tre è povero, al Nord sono uno su dieci. L'anno scorso i consumi nell'Italia meridionale sono stati i due terzi di quelli del Centro-Nord. E non si fanno più figli

ROMA - In tredici anni, dal 2000 al 2013, l'Italia è stato il Paese che e' cresciuto meno, +20,6% rispetto al +37,3% dell'area Euro a 18, addirittura meno della Grecia, che ha segnato +24% quale effetto della forte crescita negli anni pre crisi, che è riuscita ad attenuare in parte il crollo successivo. Questa la fotografia scattata da SVIMEZ nelle anticipazioni del Rapporto sull'economia del Mezzogiorno 2015, che sottolinea come la situazione è decisamente più critica al Sud, che cresce nel periodo in questione la metà della Grecia, +13%: oltre 40 punti percentuali in meno della media delle regioni Convergenza dell'Europa a 28 (+53,6%). Una situazione che SVIMEZ fotografa così: "Il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che l'assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all'area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente". Un quadro che preoccupa il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per il quale "non possiamo abbandonare giovani e Meridione".

 

Mezzogiorno, i numeri e i grafici di una crisi epocale

 

 

 

 

Prodotto, la forbice si amplia. Il divario del Pil pro capite tra Centro-Nord e Sud è tornato ai livelli del secolo scorso, dettaglia ancora il rapporto SVIMEZ. In particolare, in termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno nel 2014 è sceso al 63,9% del valore nazionale, un risultato mai registrato dal 2000 in poi. Recentemente, uno studio di Confindustria aveva mostrato che il Mezzogiorno offre segnali di ripresa, dal calo della cassa integrazione al recupero dell'occupazione, ma aveva anche aggiunto che bisognerà aspettare il 2025 (assumendo per altro una crescita in linea con il resto del Paese) per recuperare i 50 miliardi di Prodotto interno dispersi negli anni della recessione.

Allarme lavoro e consumi. Tornando ai dati Svimez, resta comunque un allarme sul fronte del lavoro: "Il numero degli occupati nel Mezzogiorno, ancora in calo nel 2014, arriva a 5,8 milioni, il livello più basso almeno dal 1977, anno di inizio delle serie storiche Istat". Al Sud, inoltre, lavora solo una donna su cinque. Nel 2014, a fronte di un tasso di occupazione femminile medio del 64% nell'Europa a 28 in età 35-64 anni, il Mezzogiorno è fermo al 35,6 per cento. Dal rapporto emerge poi che i consumi delle famiglie meridionali sono ancora scesi, arrivando a ridursi nel 2014 dello 0,4%, a fronte di un aumento del +0,6% nelle regioni del Centro-Nord. Qui si è registrato un recupero dei consumi di beni durevoli, con un aumento delle spese per vestiario e calzature (+0,3%) e di altri "beni e servizi", categoria che racchiude i servizi per la cura della persona e le spese per l'istruzione (+0,9%). In crescita nel centro-nord anche i consumi alimentari (+1%), a fronte della contrazione del mezzogiorno (-0,3%). In generale, nel 2014 i consumi pro capite delle famiglie del mezzogiorno sono stati pari al 67% di quelli del Centro-Nord.

Rischio povertà. In Italia negli ultimi tre anni, dal 2011 al 2014, le famiglie assolutamente povere sono cresciute a livello nazionale di 390mila nuclei, con un incremento del 37,8% al Sud e del 34,4% al Centro-Nord. Quanto al rischio povertà, nel 2013 in Italia vi era esposto il 18% della popolazione, ma con forti differenze territoriali: 1 su 10 al Centro-Nord, 1 su 3 al Sud. La regione italiana con il più alto rischio di povertà è la Sicilia (41,8%), seguita dalla Campania (37,7%). La povertà assoluta è aumentata al Sud rispetto al 2011 del 2,2% contro il +1,1% del Centro-Nord. Nel periodo 2011-2014 al sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute di oltre 190 mila nuclei in entrambe le ripartizioni, passando da 511 mila a 704 mila al Sud e da 570 mila a 766 mila al Centro-Nord.

Desertificazione industriale. Nel 2014 a livello nazionale il valore aggiunto del manifatturiero è diminuito dello 0,4% rispetto al 2013, quale media tra il -0,1% del Centro-Nord e il -2,7% del Sud. Un valore ben diverso dalla media della Ue a 28 (+1,6%), con la Germania a +2,1% e la Gran Bretagna a +2,8%. In calo anche l'industria in senso stretto: -0,7% al Centro-Nord, -3,6% al Sud. Complessivamente, negli anni 2008-2014 il valore aggiunto del settore manifatturiero è crollato in Italia del 16,7% contro una flessione dell'Area Euro del -3,9%. A pesare, ancora una volta, soprattutto il Mezzogiorno: dal 2008 al 2014 il settore manifatturiero al Sud ha perso il 34,8% del proprio Prodotto, e ha più che dimezzato gli investimenti (-59,3%). La crisi non è stata altrettanto profonda nel Centro-Nord, dove la diminuzione è stata meno della metà, -13,7% del prodotto manifatturiero e circa un terzo negli investimenti (-17%).

Non si fanno più figli. Oltre al tessuto economico, preoccupa la situazione demografica: "Nel 2014 al Sud si sono registrate solo 174 mila nascite, livello al minimo storico registrato oltre 150 anni fa, durante l'Unità d'Italia: il Sud sarà interessato nei prossimi anni da un stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili", sono le parole del rapporto.

 

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